Proponiamo l'intervento che il Segretario Generale della Cgil di Padova, Aldo Marturano, ha tenuto ieri, venerdì 1° maggio, in occasione della Festa dei Lavoratori organizzata, come da tradizione, in Pizza dei Signori dalle Segreterie Provinciali di Cgil Cisl e Uil
Gentili Ospiti, Istituzioni, care amiche e cari amici, care compagne e cari compagni, da questo stesso palco l’1 maggio del 2018 tenevo il mio primo discorso da Segretario Generale. Il tema era la Salute e la Sicurezza.
Dodici giorni dopo a Padova ci fu il grave incidente delle Acciaierie Venete: a causa della rottura di una siviera una colata di acciaio fuso investì quattro operai, due di loro persero la vita, Sergiu Todita di 39 anni e Marian Bratu di 44, altri due rimasero gravemente feriti.
E’ stata per me e per l’intera Camera del Lavoro, una esperienza emotivamente forte. Non voglio essere frainteso ma fa la differenza limitarsi ad apprendere di un incidente e viversi l’incidente.
Febbrili giornate di attesa, Sergiu e Marian che lottavano, ustionati, tra la vita e la morte, ricevere la notizia del decesso, partecipare ai funerali, vedere piangere bambini, ragazzi che il giorno dell’incidente avevano salutato il padre, convinti di ritrovarlo al termine del lavoro e che invece non lo avrebbero più rivisto ed infine la disperazione delle mogli, delle compagne la cui vita stravolta, non sarebbe stata più la stessa.
Una siviera caduta perché il pezzo era difettoso, quegli operai posizionati in un punto in cui avevamo più volte denunciato che correvano dei rischi.
L’incidente era stato tale da smuovere la cittadinanza, le Istituzioni, fino ad arrivare alla sottoscrizione di un Piano Strategico con la Regione Veneto perché quanto accaduto non si ripetesse mai più.
Sono passati sette anni, oggi da questa stessa piazza intervengo di nuovo ed ancora una volta per parlare di salute e sicurezza, di infortuni, di morti sul lavoro. Morti che continuano ad essere oltre 1.000 l’anno in Italia, un centinaio circa nella nostra Regione, 138 a livello nazionale nei primi due mesi del 2025. Sette anni dopo, posso dirlo, non è cambiato nulla.
1.000 è pari alla scomparsa, ogni anno, della popolazione di un piccolo Comune. E’ come se ogni anno cadessero 23 Ponti Morandi in Italia e due in Veneto. Ricordiamo tutti la commozione che suscitò quel dramma.
Eppure siamo anestetizzati, le morti e gli infortuni sono bollettini, freddi numeri che suscitano un momento di cordoglio ma null’altro, non ci si ribella, non fa scandalo, non si fa rumore.
Ed ancora più grave è che l’asticella si alza sempre più, del conteggio hanno iniziato a far parte giovani vite, ragazzi, in alcuni casi semplici studenti deceduti mentre assolvevano ad un obbligo scolastico che richiede di associare alla teoria una esperienza di lavoro.
Una esperienza fatale: famiglie che affidano i propri figli alla scuola che li inserisce in aziende che non solo non sono in grado di formarli ma nemmeno di tutelarli, non sono in grado di garantire il rispetto per la vita, un diritto che dovrebbe essere fondamentale e inviolabile, come scritto nella nostra Costituzione.
In Veneto ricordiamo Giuliano De Seta schiacciato da una lastra di metallo durante uno stage in un’azienda di Noventa di Piave.
Nel mondo del lavoro cresce il numero di infortuni tra i giovani, inevitabilmente, anche se gli infortuni mortali più gravi si registrano nella fascia di età più avanzata e in un numero doppio tra gli stranieri rispetto agli italiani.
Sono facce della stessa medaglia, si è costretti a restare di più a lavoro a causa dell’aumento dell’età pensionabile, le assunzioni soprattutto per le generazioni più giovani e per più giovani oramai consideriamo chi ha meno di 50 anni, sono precarie.
E’ superfluo dire, come ripetiamo ogni volta, che le leggi sulla sicurezza ci sono, andrebbero applicate.
Andrebbe fatta una formazione autentica, costantemente aggiornata e praticata tramite un serio e continuo addestramento; ci vorrebbero ispettori sufficienti a garantire controlli, non uno ogni 20 anni, in grado di fare prevenzione, di educare e sanzionare perché con la salute non si scherza; contemporaneamente ci vorrebbe più coordinamento e più scambio tra organi ispettivi oltre alla costituzione di una rete che coinvolga i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, troppo spesso impotenti e soli.
Infine, la salute e la sicurezza è una materia che andrebbe insegnata nelle Scuole e non solo al fine di imparare un mestiere, non solo come mero adempimento burocratico, per poi andare a morire in qualche luogo di lavoro, fatta così non serve a nulla, ma come cultura della sicurezza che vuol dire rispetto per la vita e la sua unicità.
Presidente Meloni, non servono ulteriori decreti primo maggio, non abbiamo bisogno di questa gentile concessione, il primo maggio è la nostra festa, la festa dei diritti dei lavoratori e delle conquiste ottenute attraverso le lotte sindacali, una festa seria che ricorda chi per quei diritti ha combattuto fino al sacrificio della propria vita.
Ciò che serve Presidente Meloni è la negoziazione, il confronto con le Organizzazioni Sindacali, non per ottenere nuove leggi perché le leggi ci sono, ma per la loro applicazione, fatta salva l’ introduzione di una seria e non fittizia patente a punti, come da tempo le chiediamo, che punisca e penalizzi chi non rispetta le regole e premi e abiliti chi le norme le applica risultando spesso svantaggiato da una concorrenza sleale che favorisce i furbi e i delinquenti, perché tali sono coloro che fanno della sicurezza un azzardo, una scommessa e non l’architrave della propria attività.
Ed allora ci convochi, avvii un confronto strutturale e rispettoso di ciò che rappresentiamo come Sindacato Confederale, milioni e milioni di lavoratrici e lavoratori e se davvero vuole porre fine a queste stragi rituali e cicliche, decida di cambiare modello economico e sociale perché solo così potrà salvare vite.
Le tante morti sul lavoro sono la punta dell’iceberg di un modello che subiamo da oltre quarant’anni, quel modello liberista pensato e voluto per arricchire i pochi e per impoverire i tanti, per favorire il profitto e non la redistribuzione della ricchezza.
Le disuguaglianze crescono ovunque e crescono nel nostro Paese. Non la Cgil, la Cisl, la Uil ma l’Istat ci dice che il 23,1% della popolazione è a rischio povertà, una percentuale che cresce mese dopo mese.
Ciò vuol dire che 13 milioni e 525.000 persone sono in difficoltà, il loro reddito netto è attorno ai 12.000 euro, sono persone a rischio di deprivazione materiale e sociale, lavorano meno di un quinto del tempo, non sono in grado di permettersi un pasto adeguato, di pagare un affitto o un mutuo, di affrontare spese impreviste.
Non sono sfigati o inclini all’accattonaggio, sono persone che hanno lavori precari, che lavorano per pochi mesi all’anno o per poche ore alla settimana, spesso sono donne, hanno meno di 50 anni, lo stesso ISTAT ci spiega che un contratto a termine su due ha un basso reddito, mentre per chi ha un contratto a tempo indeterminato il rapporto è di uno a dieci.
Ed i contratti a tempi indeterminato sono una rarità da molti anni, anche nel Veneto uno su dieci, mentre il 70% delle nuove assunzioni, ci dice Veneto Lavoro, Ente della Regione, riguarda servizi a bassa produttività: ristorazione, commercio, pulizie, logistica, ambiti dove le retribuzioni sono, quando va bene, il 60% di ciò che si percepisce in realtà più strutturate, a partire dalla manifattura.
Parliamo di lavoratrici e lavoratori poveri il cui misero salario è divorato dall’inflazione cresciuta del 17% dal 2021 al 2023 e se l’inflazione divora i salari a prescindere, lo fa ancora di più con chi è indigente.
E quando questo accade, il calo demografico ne è la naturale conseguenza.
Soprattutto, questo circolo non si arresta, questa filiera del basso costo del lavoro non conosce confini ed arriva sempre più giù, favorito dal sistema degli appalti e dei subappalti, fino al caporalato, fino allo schiavismo, dove il massimo del profitto si coniuga con il massimo dello sfruttamento.
Ed allora si traduce in morte, come è avvenuto per i cinque lavoratori dell’appalto della Esselunga di Firenze, trenta diverse tipologie di contratto, una peggiore dell’altra; come è avvenuto a Suviana, 7 morti, appalto Enel; come è avvenuto per i 5 operai di Brandizzo, appalto delle Ferrovie; come è avvenuto nelle campagne di Latina, con la barbara uccisione di Satnam Singh, 14 ore di lavoro al giorno per tre euro, per poi essere abbandonato a sé stesso e fatto morire in condizioni atroci.
Non abbiamo bisogno del decreto primo maggio Presidente Meloni, abbiamo bisogno di cambiare un modello sempre più famelico che ci sta facendo danzare sul ciglio di un burrone a causa di venti di guerra che si fanno ogni giorno più insistenti in una sorta di impazzimento generale, dove la soluzione è individuata nel riarmo e non nella pace.
Noi abbiamo bisogno di un modello che metta al centro il lavoro, la salute, l’istruzione, che redistribuisca ricchezza, che riconosca dignità alla persona, che le dia stabilità, speranza, voglia di sentirsi proiettata nel futuro.
E tutto scritto, è scritto nella nostra Costituzione pensata e voluta per garantire democrazia e pace dopo vent’anni di dittatura e sei di guerra. Costituzione, scritta con il sangue di chi ha lottato per la libertà.
Questo sentimento è molto più diffuso di quanto crediamo ma non trova espressione.
Io sono rimasto colpito, come tanti credo, dal segno lasciato da Papa Francesco. Lo dico da persona profondamente laica, per cultura e per storia.
Un uomo, Papa Francesco, in grado di trasmetterti un’ideale per cui vale la pena combattere, capace di una radicalità forte, netta, una voce scomoda e chiara nel proprio messaggio e nel proprio agire, un Papa che citava poco Dio ma molto le tante donne e i tanti uomini alla periferia del mondo, evidenziando che non si trattava di fatalità o di destino o di volontà divina ma di una precisa scelta politica ed a tale proposito usava frasi del tipo:
“Il lavoro precario uccide, uccide la dignità, uccide il futuro, uccide la speranza,”;
“le morti sul lavoro sono una tragedia inaccettabile in un mondo civile”;
“una economia uccide quando il profitto conta più di una persona.
Ai tanti potenti stranieri e nostrani che gli hanno reso omaggio, in questi giorni, mi vergogno io per la loro sconfinata ipocrisia, solo per fare un esempio, nei confronti dei migranti ai loro muri e alle loro deportazioni il Papa contrapponeva aiuto, soccorso, accoglienza e integrazione.
A noi tutti, invece, chiedo di essere insieme ora e sempre dalla parte degli ultimi, degli esclusi, degli scartati, degli emarginati, degli indifesi, cioè dalla parte della giustizia, perché questa è la nostra ragione, perchè è questo il significato della parola Sindacato, insieme per la giustizia.
Buon primo maggio!
Il servizio di Telenordest sul primo maggio in Piazza dei Signori a Padova
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